"Dodici stanze "
di Gianluca Cotza

E' il "discorso di fine anno" 2007 che ha partecipato al concorso indetto dai Tazenda nel loro sito.I discorsi in gara, a tuttoggi
(primo Luglio 2007) non sono stati mai premiati nè pubblicati.
Questo discorso è stato appositamente scritto per il concorso, a questo sono dovuti i vari riferimenti al "mondo Tazenda", impliciti ed espliciti.

Buona lettura.Gianluca

Corro affannosamente nel buio, voglio allontanarmi il più velocemente possibile da ciò che mi lascio dietro, senza voltarmi. Ignoro ciò che incontrerò nel mio cammino, anzi: nella mia fuga, ma so benissimo ciò che mi sto lasciando alle spalle, e tanto basta a farmi aumentare ulteriormente l’ andatura.

Tutto intorno, freddo e nebbia avvolgono ogni cosa, l’aria è sottile e pungente di gelo e mistero.

Il silenzio irreale è rotto soltanto dal rumore dei miei passi frenetici e cadenzati. Quando il fiato e le forze sembrano ormai mancarmi, un grande portone illuminato a giorno mi si staglia davanti: le forme dell’edificio sono molto indefinite, a tratti tetre, a tratti piacevoli ed invitanti.

Tutto questo mi incuriosisce, ed allo stesso tempo mi spaventa,ma è l’unica via possibile, non ho altra scelta: sono costretto ad entrare.

Varcato il portone, una piccola anticamera con qualche scritta, confusa e sbiadita, alle pareti: una sorta di “regolamento” che mi avvisa su ciò che potrò e non potrò fare durante il tragitto.

E’ un percorso obbligato, leggo, formato da una serie di Dodici Stanze comunicanti tra loro: in ognuna di queste Stanze potrò transitare soltanto una volta, senza possibilità alcuna di ritornare indietro, neanche di un solo passo, e cercando di cogliere in ciascuna di essa “il senso”, una frase, un’immagine o quant’altro, che porterò poi con me fino alla fine del viaggio.

La paura è totalmente svanita, l’unica cosa che provo ora è una profonda curiosità ed impazienza di iniziare il cammino.

In preda all’euforia, varco la soglia della Prima Stanza: ho come uno stordimento, tipico di quando si prova un piacere molto intenso.

Mi trovo davanti una Stanza lunga e fredda. Avanzo timidamente, i primi passi sono i più gradevoli, c’è tanta luce intorno e, sulle pareti, immagini di un soleggiato luogo di mare: una spiaggia deserta ed “aliena”, ed uno sguardo azzurro di speranza che sembra quasi volermi supplicare qualcosa di cui ancora non sono capace.

Poi fogli appesi, e parole, tante parole scritte, fitte, tanta gente amica ed una festa “in un posto che non c’è” , ma che riempie il cuore d’ottimismo e di entusiasmo.

Una particolare immagine rapisce la mia attenzione, poco oltre il centro della stanza: un’altra festa, ma stavolta “reale”, ed un bimbo Felice che soffia su una manciata di candeline, attorniato da altri bimbi gaudenti e chiassosi. Provo un forte brivido di gioia e commozione, proseguo, accelerando il passo verso la fine della Prima Stanza. Ma prima di uscire, annoto una frase che ho scorto, nitida, su queste mura, e che mi coinvolge particolarmente: “Credi semprein te stesso: nessuno può farlo meglio di te” .

La Seconda Stanza è un po’ più corta della prima, più scarna ed ugualmente fredda: i primi passi sono i più emozionanti, le pareti sono azzurre e piene di scritte nere. Tanti pensieri, tanti nomi senza volto, uniti in un abbraccio virtuale che mi scalda l’anima e rinnova le mie forze.

Neanche il tempo di rendermene conto, e sono già sulla soglia della Terza Stanza.

Ma prima di uscire dalla Seconda, prendo nota di un pensiero che mi è sorto attraversandola: “Uniti si può compiere qualunque impresa, anche la più improbabile”.

Eccola, la Stanza Numero Tre: lunga come la prima, un po’ più tiepida e luminosa, qualche incerto raggio di sole filtra dalle fessure del soffitto. Tutto intorno, pareti scarne e qualche libro in disordine sul pavimento, alcuni chiusi, altri aperti con incomprensibili pagine svolazzanti.

Percorro la Stanza quasi indifferente, curandomi poco di ciò che mi circonda, con il solo obiettivo di raggiungere il più velocemente possibile la prossima.

Non colgo nessun pensiero particolare in lei, me la lascio alle spalle con noncuranza, ed entro nella Quarta: il mio ingresso avviene in modo scherzoso, quasi inciampando sull’uscio.

Forse è un pochino più corta, ma molto più luminosa, e ricca di intensi profumi che risvegliano in me assopite sensazioni.

Le immagini che la ricoprono sono un trionfo cromatico, un turbinio difragranze e di sorrisi dimenticati e ritrovati.

La attraverso lentamente, a piccoli passi, come a volerne cogliere l’intensità crescente dei suoi colori. Prima di uscire trascrivo una frase dalle sue pareti, che voglio portare con me: “…anche la notte più scura, poi si arrende al mattino”.

L’ingresso nella Quinta Stanza è ozioso e riflessivo. Pigramente, percorro i primi passi, quando una musica lontana cattura la mia attenzione: ritrovate magiche melodie in un cielo vicino ma “straniero” mi riportano indietro di molto tempo, frammiste a nuove sonorità che proiettano i miei sogni e le mie speranze ben oltre le pareti limitate di quella Stanza.

La Stanza è ricca di luce e colori, ma molto in disordine: libri aperti ovunque, le pareti ricoperte di formule e teoremi quasi incomprensibili…e quella musica lontana sembra avvicinarsi sempre di più, procurandomi non indifferenti “scossoni” emotivi.

Tra le formule e i teoremi sparsi sulle pareti, colgo una frase che mi colpisce molto, e che ci tengo a conservare:
“Vola questo canto per te”.

La Stanza Numero Sei mi accoglie con una temperatura molto più elevata delle precedenti, la percorro molto faticosamente, passo dopo passo, appesantito dal gran caldo e dallo spropositato disordine di libri ovunque, a mucchi, che ricoprono le pareti stesse, impedendomi di camminare agevolmente, di assaporare immagini o di coglierne preziosi suggerimenti, ma uno riesco comunque a “rubarlo”: “Non dimenticare mai che ad ogni salita, per quanto sia ripida, corrisponde sempre una discesa”.

Raggiungo a stento l’uscita, precipitandomi sfinito ed incredulo nella Settima Stanza: Meraviglia! Sin dal primo passo, provo una sensazione ed una gioia mai provate prima: mi sento leggero ed appagato, radioso, Felice…

La Stanza è bellissima e molto accogliente: niente soffitto, le pareti bianche illuminate da un sole splendido, l’aria calda e gioiosa, piacevolmente elettrizzante. E, finalmente, niente disordine, nessun libro sparso sui pavimenti, tanta tanta musica, e alle pareti immagini di festa e gioia: un cappello quadrato che vola nel cielo tra dolci sorrisi e lacrime stanche; un uomo bendato ed incredulo su un palco insperato, davanti ad occhi amici e ad azzurri sguardi di dolce speranza, che non hanno mai smesso di aspettare, di credere e Amare; un inno alla Vita e tre facce già viste; un mare lontano di musica e sogni, e nuove scoperte di Arte e di sale…

La Settima Stanza è passata d’un fiato…prima di abbandonarla definitivamente, vorrei poter cogliere soltanto una frase, ma sarebbero cento quelle da conservare. Raccolgo allora da terra un piccolo ciondolo, la cui nuova lucentezza mi ha colpito, e la sua insolita forma di protome taurina mi ha affascinato.
Lo ripongo gelosamente in tasca e, un po’ a malincuore, continuo il mio viaggio.

Anche l’Ottava è calda e luminosa, con le pareti bianchissime e senza soffitto.

La musica, stavolta proveniente da una radio rispolverata dopo troppo tempo,accompagna i miei passi, pigri ed accaldati, attraverso pareti ricche di immagini colorate: c’è il grande sorriso di un bimbo sul mare; abbracci ritrovati e vecchie tavole imbandite, ma anche nuovi abbracci e nuove tavole mai condivise prima; e ancora tanta tanta musica, finalmente sotto un cielo conosciuto ed “amico”; profumo di sale e di mirto, e vecchi e saggi Lupi eremiti tra mille sorgenti e castagni assopiti.

Tra l’Ottava Stanza e quella successiva, non ci sono muri divisori, così mi ritrovo senza quasi rendermene all’interno della Nona: mi appunto un pensiero, prima che vada perduto:
“…ti sembra un attimo, e ti scopri già grande. Ma il bambino che è in te non si arrende, anche se il corpo tuo lo nasconde”.

La nuova Stanza è molto variegata: la pareti in prossimità dei primi passi sanno ancora di sole e di mare, ma man mano che procedo lungo il cammino, ho sempre più freddo, e una strana malinconia agrodolce s’impossessa di me…faccio appena in tempo a “rubare” un’istantanea, stavolta, da conservare per sempre: quella di una macchina rossa che sale su una grande nave, ed una mano scura che ne stringe una più piccola, tremante d’emozione e fibrillante diinnocente euforia.

Eccomi nella Decima Stanza: lunga, decisamente più tiepida delle precedenti, le pareti color giallo e ruggine, e immagini di camini accesi e odore di legna bruciata, castagne, vino rosso e dolcezza…

Il mio passo è lento, alle pareti solo qualche appunto, nel mio “orticello” germoglia ogni cosa: nuove parole “sposano” nuove melodie, dentro innumerevoli piccoli frammenti di immagini sparse in attesa di unirsi in un unico album.

La musica che aleggia nella Stanza ora è più flebile, e verso la porta d’uscita si fa a tratti incredibilmente stonata e stridente, distorta da sincere ed ingenue parole… ma è solo un attimo passeggero.La frase che decido di portare via con me è “La Casa dei Sogni vorrei ritrovare…”.

L’Undicesima Stanza ha l’ingresso grigio e freddo, ma dopo pochi passi la situazione cambia decisamente: la temperatura si fa più mite, le pareti si tingono nuovamente d’azzurro, arricchendosi di immagini intense ed indelebili; un aereo attraversa il mare con stupore; quaranta candeline illuminano un sorriso incredulo, in una città dove ogni casa “sa di mare” ed il mare “sa di casa”, e dove il mio volto si confonde tra la sua gente, le mie parole col loro vociare; fotogrammi di verdi paesaggi che non sembrano gli stessi di sempre, e che a stento riconosco; due occhi azzurri e gioiosi, dapprima spettatori, poi festosia loro volta, e a loro volta splendenti di una gioia stupita e luminosa impazienza…

L’Undicesima Stanza mi ha reso più ricco, più saggio, più “vecchio”: questa volta non porterò con me nessuna frase colta dalle pareti, ma un oggetto, uno specchio: servirà, nelle stanze più tetre e fredde, a ricordarmi “chi sono”.

Non mi sembra vero, in un batter d’occhio, mi ritrovo nella Dodicesima Stanza: piena di luci colorate, folle apparentemente festanti, effimeri sorrisi…sono sopraffatto da una strana sensazione di Pace ma anche di cauta diffidenza, come se non sapessi riconoscere i veri sguardi d’Amore e Amicizia da quelli posticci, o di circostanza.

Ormai pochi passi mi separano dalla conclusione del percorso, mi soffermo a guardare le immagini dell’ultimo tratto di stanza: ovunque vedo un bimbo gioioso, gli occhi che scintillano, pochi ma sinceri abbracci, e frammenti di tempo già vissuto che ritornano, vestiti a nuovo…

Superflui rimbombi di fuoco, alternati a brindisi ed intrisi di buoni propositi e solenni promesse, mi risvegliano dal torpore: il viaggio è finito, vengo catapultato fuori dall’enorme portone posto in fondo all’Ultima Stanza.

Immediatamente di fronte, un altro portone, molto simile al precedente, sembra essere l’unica possibile via per proseguire.

Riecco quell’alone di affascinante mistero…ma questa volta non ho paura, né sono ansioso ed impaziente di intraprendere un nuovo cammino: quello appena terminato mi ha piacevolmente appagato, offrendomi tanti “scampoli positivi” che non abbandonerò mai più, e che hanno contribuito sicuramente a migliorare me stesso, e la mia esistenza.

Lancio un ultimo sguardo verso il portone che si sta chiudendo alle mie spalle, faccio appena in tempo a coglierne l’ultima frase:”La vita gira…gira, la vita”.

Poi, mi volto verso il nuovo uscio che si spalanca davanti a me, ed entro, sereno e fiducioso.

Nell’anticamera questa volta leggo una rassicurante scritta colorata e molto ben definita:

“Benvenuto nel 2008”.

 

 

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