"2006"
di Gianluca Cotza

E' il "discorso di fine anno" che ha vinto il primo premio nel concorso indetto dai Tazenda.
Buona lettura.Gianluca

Ti devo dire addio, finalmente!

Lo ammetto: non vedevo l’ora che arrivasse questo momento, non vedevo l’ora di lasciarti alle mie spalle inderogabilmente, senza alcuna possibilità di dover subire un tuo ritorno.

Il nostro rapporto è partito subito col piede sbagliato: dopo soli 4 giorni dalla nostra conoscenza, ti sei portato via mio padre, in una notte troppo nera, in cui hai voluto anche prenderti gioco di me, lasciandomi appiedato con il gelo e la rabbia nel corpo e nel cuore.

Hai saputo fare anche di peggio, “punzecchiandomi” continuamente con piccoli e grandi "spilli", causandomi piccole e grandi ferite che non hanno fatto altro che frenare la mia corsa, appesantire il mio volo…

Ed ogni volta che provavo a riaprire le ali, ad aumentare il mio passo, a rialzare fiduciosamente la testa, tu eri sempre in agguato con nuovi strali, nuovi ostacoli via via più irti ed insormontabili.

Mi hai messo alla prova, hai voluto vedere se me la sapessi cavare anche da solo, ed è una prova che sto vincendo io, anche perché davvero solo non lo sono e non lo sono stato mai…

Mi hai messo il bastone tra le ruote anche quando volevo concedermi il lusso di un solo giorno al mare col mio bimbo, in tutta l’estate, mi hai fermato ad un passo dal traguardo, facendomi male nel corpo e nell’anima, oltre che nel portafoglio già notevolmente sguarnito.

E quando sembrava che un accenno di sorriso stesse per tornare ad illuminarmi il volto, hai voluto colpirmi ancora più forte, forse consapevole che il tuo tempo stava per finire e volevi “divertirti” ancora un po’ con me.

Ho trascorso il “mio Natale” ed altri troppi giorni in un grigio ospedale, malato ed intriso di sconforto, colpevole di aver osato pormi degli obiettivi che a loro tempo mi furono negati, colpevole di voler cercare di recuperare in qualche modo il tempo perduto, con la presunzione di credere davvero che anche sulla soglia dei 40 anni si possa conseguire un diploma, se la volontà e la stima di sé non vengono a mancare.

Avevo fatto i conti senza di te, ma per fortuna tu non vivrai abbastanza a lungo per rovinarmi anche questo volo.
Per ora lo hai soltanto ostacolato un po’, reso più faticoso ed impegnativo…ma sono Sardo, testardo ed ostinato, ci vuole ben altro per fermarmi!

Ti sei poi portato via un amico, una persona splendida che amava la vita…proprio ora, ora che avevo avuto la possibilità e la fortuna di conoscerlo meglio ed apprezzarlo anche come Uomo, dopo averlo a lungo stimato ed apprezzato moltissimo come Artista.

Hai continuato ad infierire in ogni modo possibile su di me, in ogni campo: salute, lavoro, soldi, affetti.

Ma non si dica chesono un pessimista, uno che vede solo il nero, riesco a scorgere in te anche qualche lato positivo, qualche momento felice che porterò con me: mi hai permesso di realizzare un sogno, quello di cantare versi da me scritti per la mia gente, davanti alla mia gente confusa tra la gente con cui mi ci sono confuso io stesso.

Mi hai permesso di fare ordine nella mia vita, di riscrivere la mia scala dei valori, di rivalutare affetti erroneamente accantonati, o di “declassarne” di presunti a cui avevo forse dato molta più importanza di quello che realmente meritassero, e me ne hai fatti assaporare di nuovi.

Mi hai visto diventare zio in un tiepido giorno d’autunno.

Sei riuscito a fare ciò che ben tuoi 5 predecessori non erano riusciti a fare: spodestare il Grande Tiranno, lasciandoci sperare, forse stupidamente ed ingenuamente, in un Paese migliore.

Hai portato calore e colore nella mia fredda ed opaca città adottiva, illuminata da una fiaccola d’illusioni ben presto sopite, e hai tinto di un azzurro insperato il cielo grigio di un Luglio sàssone.

Con me sei stato crudele ma non spietato, mi hai tolto il companatico ma non il pane, mi hai sempre rallentato… ma mai fermato completamente.

Certo, è un po’ pochino, rispetto ai tuoi misfatti…

Ed ora eccoti lì, fai quasi pena, tu, vecchio albero secco e moribondo a cui restano pochissime foglie che presto cadranno.

Tu, candela consumata a cui poco resta ancora da bruciare.

Farò tesoro di quei pochi ma preziosi insegnamenti che sei stato capace di infondermi.

Rinascerò, io, piccola fenice in un mare di cenere e cemento…

Ricostruirò, io, sulle tue e mie macerie, in un Nuovo Tempo, un Uomo Nuovo.

Con il tuo successore non commetterò gli stessi errori che ho commesso con te, non lo accoglierò a braccia aperte come un salvatore, ma lo guarderò con oculata diffidenza, cercando di sfruttarne l’energia positiva, e convertire quella negativa a mio favore, come una vela che cerca un approdo in mezzo al mare spazzato dal maestrale.

E se qualche volta ti sembrerà di vedermi voltare indietro anche solo per un attimo, non ti illudere: non sarà sicuramente uno sguardo di rimpianto, ma di disprezzo.

Anche se forse in fondo tu non ne hai colpa: ognuno è artefice del proprio destino, e non sarò certo io l’eccezione.

Tu in fondo cosa sei, se non una sorta di “recinto temporale” fatto di umana convenzione, un nulla astratto suddiviso in 365 minuscoli frammenti di eternità?

Sei solo un numero perso nell’infinito, e tra poco sarai soltanto il ricordo sempre più sbiadito di quello che appena un anno fa millantava di essere il Re del tempo che sarebbe venuto.

Ed ora vai, no ho più nulla da dirti, disperdi al vento questi ultimi fogli di uno scarno calendario, e lascia il posto a chi, forse, ha propositi migliori dei tuoi.

Ah, di una cosa ti voglio davvero ringraziare: mi hai fatto capire l’importanza del mio amore PER ME.

E adesso, finalmente, addio.

Gianluca.

 

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